Ad Avignone, “Gahugu Gato (Piccolo Paese)”, il racconto diffratto e delicato del dramma ruandese

"Non dobbiamo dubitare della bellezza delle cose, nemmeno sotto un cielo tortuoso", scrive Gaël Faye nel suo romanzo autobiografico Petit pays (Grasset, 2016). Quando la frase risuona tra le mura del Chiostro dei Celestini, ha la forza dell'evidenza e l'autorevolezza di una dichiarazione d'intenti. Semplice e chiara, pacifica, sebbene sullo sfondo ci sia il genocidio dei Tutsi in Ruanda nel 1994, la messa in scena di Gahugu Gato (Petit pays ) di Frédéric Fisbach e Dida Nibagwire si insinua con una delicatezza folle nella notte di Avignone.
Adattato dal testo di Gaël Faye, messo in scena in kinyarwanda (con sopratitoli) da una magnifica troupe di 11 artisti ruandesi e burundesi, questo spettacolo cristallino di ineffabile dolcezza si rifiuta di essere spettacolarizzato. Ventisei anni lo separano da Rwanda 94 , il colpo di scena teatrale e documentario sferrato da Jacques Delcuvellerie in questo stesso Festival di Avignone. Il passare del tempo non ha attenuato l'orrore del dramma genocida. Ma ciò che ieri richiedeva un elettroshock estetico e politico per allertare le coscienze, ha ora la possibilità di esprimersi con serenità, nella calma di una performance tanto più persuasiva perché non si esibisce, non gesticola, non urla.
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Le Monde